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Afghanistan. La psicologa: i soldati e il console baluardo contro il maschile misogino

I bambini di Kabul vanno aiutati a fare tesoro del sacrificio delle madri

 Hanno fatto il giro del mondo le immagini strazianti di madri afghane che si separano dai figli per affidarli ai soldati. O ancora l’istantanea de del funzionario consolare Tommaso Claudi mentre prende in braccio un bambino che piange, per aiutarlo a valicare la recinzione esterna della scalo di Kabul.
“Stiamo assistendo a una costellazione maschile che, in qualche modo, si sta contrapponendo a quel maschile distruttivo e violento, misogino e privo di rispetto per l’evoluzione dei bambini e delle donne. È come se questa situazione così drammatica ci stia costringendo a ripensare le posizioni assunte, per comprendere quanto le strategie messe in atto finora non siano sufficienti ad ammortizzare quella distruttività profonda
che veniva da quel tipo di maschile”. A riflettere con l’Agenzia Dire sulla valenza psicologica di queste immagini è la psicoanalista junghiana Magda Di Renzo, che aggiunge: “È importante comprendere che la situazione traumatica dei bambini afghani ha origine proprio in quella distruttività, che condizionerà poi tutto il loro processo evolutivo”.  
Si è parlato tanto anche di “identificazione con l’aggressore e questa riflessione potrebbe spiegare perché tanti ragazzi crescendo si lasciano affascinare da quel tipo di regime – continua Di Renzo- perché è un modo di essere dalla parte dei forti, di non subire. Il grande trauma è proprio l’umiliazione, l’aver subito. Questi elementi dovranno essere tenuti in considerazione quando penseremo di voler fornire un aiuto a questi bambini- ricorda la responsabile del servizio Terapie dell’Istituto di Ortofonologia (IdO)- e non con quella superficiale idea che siccome siano scampati dal pericolo allora il problema è risolto, ma come l’inizio di una nuova costruzione”. Purtroppo, prosegue la psicoanalista, “i traumi che derivano dal danno umano sono profondamente più lesivi rispetto a quelli causati da catastrofi naturali, perché mettono in discussione la fiducia stessa nell’essere umano, che è la base fondante per la costruzione di una personalità”. In Afghanistan si è verificato tuttavia un doppio trauma: “Una violenza esterna perpetrata dal regime talebano che ha segnato la vita dei bambini, vedendo il terrore nelle madri e l’angoscia nei padri; una violenza interna traumatica, ovvero l’essere strappati dallecure materne. Sono elementi da non trascurare- puntualizza la specialista- perché questi bambini dovranno essere profondamente attenzionati”.

Si tratta di storie di abbandono. Come potranno essere contenute a livello psicologico? “Pensando alla saggezza salomonica della mamma che rinuncia al proprio bambino, dobbiamo sottolineare che queste madri hanno compiuto un atto di grande sacrificio in nome della continuazione della vita del bambino. Questo sacrificio il bambino non può capirlo subito, all’inizio sentirà solo l’abbandono, ma potrà essere valorizzato nel corso dell’aiuto che gli verrà offerto. Chi lo supporterà dovrà fargli cogliere la grande protezione che le madri hanno messo in atto per aiutarli”. Di Renzo cita una storia reale raccontata dalla giornalista Vittoria Iacovella nel suo libro ‘I rompiscatole’. “La storia a cui mi riferisco è quella di Sayed, il più piccolo di una famiglia con più fratelli, tutti arruolati dal regime talebano. La madre, per salvarlo, lo affida a un estraneo e da
quel momento il bambino undicenne si troverà ad affrontare terribili traversie con una rabbia profonda, inizialmente nei confronti della madre. Fortunatamente- fa notare la terapeuta- a un certo punto della sua vita Sayed incontrerà una persona che
gli farà comprendere il valore inestimabile del gesto compiuto dalla donna, tanto da riconciliarsi con lei e da portarlo a scegliere come professione quella di mediatore culturale. Il sacrificio profondo delle madri è un elemento che dovremo avere sempre ben presente quando aiuteremo i bambini che arriveranno in Italia- conclude la psicoterapeuta dell’età evolutiva, esperta nella gestione del trauma- perché sarà l’unico aggancio, l’unico elemento profondo rimasto per potersi nuovamente fidare del genere umano”.